È condannato il lavoratore che, passando da un’azienda a un’altra, trasferisce informazioni riservate di titolarità della prima società.
Ma viene condannata anche l’azienda che lo ha assunto se le informazioni vengono scaricate sul pc aziendale e vengono utilizzate per svolgere attività in favore di quest’ultima.
Così ha deciso il tribunale di Milano, sezione specializzata impresa, con la sentenza 8246/2019 in un contenzioso che ha visto contrapposto due società e due lavoratori transitati da una all’altra.
I dipendenti, legati sentimentalmente, hanno cambiato datore di lavoro a poco tempo di distanza transitando entrambi dall’azienda A a quella B, operative nel settore dell’outsourcing e della selezione del personale.
Il secondo, prima di lasciare l’incarico, ha acquisito tramite screenshot alcune informazioni contenute nel sistema informatico della società e alcuni curricula vitae e li ha inviati tramite posta elettronica, alla collega già passata alla nuova azienda.
Fatti che sono stati appurati anche tramite una consulenza tecnica d’ufficio e accesso ai computer aziendali dei due lavoratori.
Il tribunale ha ritenuto che tale comportamento sia contrario all’articolo 99, primo comma, del codice della proprietà intellettuale (Dlgs 30/2005) nella versione in vigore nel 2015.
La norma vieta di acquisire e divulgare informazioni segrete soggette al legittimo controllo del detentore e l’illecito si concretizza già solo con la mera detenzione delle informazioni, senza che necessariamente si realizzi un vantaggio per chi le ha sottratte o un terzo.
Ma i giudici hanno stabilito che per il comportamento messo in atto dai due lavoratori è responsabile anche l’azienda che li ha assunti sulla base dell’articolo 2049 del codice civile (responsabilità dei padroni e dei committenti) tenuto conto di tre fattori:
– i dati sono stati ricevuti e scaricati sul computer aziendale assegnato al dipendente dal nuovo datore di lavoro, nonché inseriti nel database utilizzato per le elaborazioni;
– la lavoratrice che li ha ricevuti dal fidanzato al momento della perizia li stava usando per proporre ai clienti della vecchia azienda un contratto più vantaggioso;
– l’esistenza di un accordo contrattuale offerto dalla nuova azienda per manlevare i dipendenti “transitati” dalle spese legali e dagli effetti risarcitori di un’eventuale condanna per violazione del patto di non concorrenza.
La responsabilità in base all’articolo 2049 si legge nella sentenza, sussiste se il fatto lesivo è stato prodotto o quanto meno agevolato da un comportamento riconducibile all’attività lavorativa del dipendente «e quindi anche se questi abbia operato oltrepassando i limiti delle proprie mansioni o abbia agito all’insaputa del suo datore di lavoro».
Peraltro secondo il tribunale la clausola di manleva a favore degli assunti «appare sintomatica di un atteggiamento improntato a spregiudicatezza».
I giudici hanno rigettato invece la richiesta di condanna dell’azienda B per storno di dipendenti, in quanto ne ha assunti altri oltre ai due responsabili dell’illecito.
Ciò perché nello specifico i passaggi sono avvenuti in un arco temporale molto dilatato, con eterogeneità di mansioni e l’uscita dei lavoratori da diverse società del gruppo e non da una sola.